Innanzitutto Wolfgang Amadeus Mozart. In particolare il K.488 che il genio di Salisburgo compone in maturità. È il territorio che più sta a cuore a Pier Luigi Berbotto, scrittore dai tratti inconfondibili e intanto musicologo di provata perizia. Sono gli elementi sinfonici a dare propellente all’autore. I violini dell’autunno, il titolo si ispira ai versi di Verlaine, uno dei poeti maledetti, ha l’avvio nella frase “tutti a Stoccolma”. Gli amici di Dante Soldano, scrittore in odore di Nobel, gridano quella speranza in un locale arroccato nel cuore di Manhattan. Contestualmente e nell’angolo meno illuminato cadono ad uno ad uno i veli dal corpo candido di una spogliarellista, avvolta solo dalle note della Siciliana di Mozart. Ma non è il corpo ad attrarre lo scrittore, bensì “gli occhi e quel volto” che riemergono dal passato che si incrocia con quello di Delphine. Ed ecco il bagliore, lui le si accosta e lei bisbiglia un lusinghiero “aspettami a Torino”.
Berbotto ci offre subito il mare di luci che fluttua laggiù, dove palpita una New York che quasi somiglia a Torino, alla sue strade diritte ed alle notti smerigliate dalla tramontana. Con inconfondibile stile, l’autore cuce una trama di seta sospesa nell’etere piena di enigmi, di personaggi che si concretizzano e si polverizzano, di ricordi e di diapositive di Torino che da Valsalice è fumigante e acquattata. E si arricchisce via via di personaggi come Olimpia Tomatis, donna che miscela salotto e cultura. E è in quel sito che Soldano è obbligato a concepire un nuovo romanzo.
Berbotto ricama il replay della notte di Manhattan. Nuovi misteri e sorprese si aggiungono e l’idea newyorkese fiondata dall’amico Dotta si conficca, come una zagaglia invitante e indolore, nelle incertezze di Soldano. Sempre Mozart tiene tesa la filigrana di Berbotto, un filo che di tanto in tanto viene fatto scivolare in ideali crune d’ago da Delphine che ricompare dal passato. Il sogno prende corpo e sfuma, ma a ridargli vita e anima c’è Ombra, fanciulla misteriosa che schiude il portale su Mozart e sui suoi dieci giorni torinesi. Soldano, secondo una promessa divulgata anni prima, accetta la sfida e decide di cominciare a lavorare al libro. A mano a mano che penetra nei misteri mozartiani e in quelli della donne da lui frequentate, scopre lacci solidi tra la propria vita e quella del genio di Salisburgo. Il femminino inflaziona e condiziona. Si delineano la gelosia di Lucrezia, la leggiadria di una ballerina che partecipa ad un’opera di Paisiello con Mozart presente. E ancora, nella spartana stanza del locale “Alla Dogana nuova” frequentata a suo tempo dal salisburghese compaiono, come in una danza eterea, Ombra, Delia, Odette e Marie Blanche. Il finale è una fioritura di sorprese. Un pianista e di nuovo Olimpia Tomatis sono chiavi di lettura che aiutano Soldano a restituire significato al proprio passato grazie alle orme con cui Amadeus segnò l’indimenticabile notte del 30 gennaio del 1771.
Una burattinaia pilota il gran finale settecentesco, un gioco di specchi, di identità vertiginoso. Un ondulare e clonare figure tra passato e futuro, un ingannevole richiamo dei sogni.
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Recensione |
I violini dell’autunno |
narrativa |
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Autori |
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Pier Luigi Berbotto |
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Edizione: L’Ambaradan Torino 2005 |
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pp. 306 |
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Recensione a cura di |
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Mario T Barbero |
Pubblicata su: Punto di Vista nr.45/2005 |
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